venerdì 24 agosto 2007

Il tempo delle more

(oppure Ricchi rami di rovi di more)

Un paio di giorni fa ho fatto un giro nel giardino dietro casa di via Tuderte e ho scoperto con gioia che in un tratto della rete di recinzione erano invischiati rovi di more. L'hanno scorso non me ne ero accorta, strano.
Pendevano dall'alto ricchi rami che si offrivano elegantemente.
Dal momento che le more mi mandano in sollucchero, ne ho fatto una copiosa scorpacciata.

Nella casa a San Mariano, quella dove ho vissuto dai quattro ai quattordici anni, quella dove ad oggi ho abitato di più, quella dove ancora ha luogo la maggior parte dei miei sogni, mio padre, vicino all'altalena, aveva fatto piantare un cespuglio di lamponi e uno di more senza spine.
In estate con le mie sorelle seguivamo la maturazione dei frutti. Un po' per mangiarne, un po' per farne marmellata.
Sotto lo stretto controllo di mamma, producevamo una marmellata quasi priva di semi, poco densa, intensa, poco dolce e deliziosa. La mangiavamo con le fette biscottate o con il pane di Ellera che quando era fresco affondavi i denti nella mollica e il palato era il primo a goderne. Dopo la merenda andavo in bagno per vedere allo specchio l'effetto dei denti colorati di viola.
Ora il ricordo di quei due o tre vasetti di marmellata quasi cancella le sofferenze di quelle estati, di quegl'anni e di quelli a seguire. Quasi.

Quando incontro delle more non riesco a staccarmene e queste dietro casa erano dolci, mature, grandi e soprattutto mi avevano sorpresa. Un po' perchè non sapevo che lì ci fossero dei rovi, un po' perchè ogni estate dimentico quando è il tempo delle more. Forse luglio, forse agosto.
Agosto, la seconda metà.

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